L’operato della magistratura ha nuovamente imposto uno scossone alla questione
ambientale a Taranto, come già avvenuto in passato con il sequestro delle quattro
batterie della cokeria e dei parchi minerari dell’Ilva.
L’attesa per l’udienza conclusiva dell’incidente probatorio che si terrà il 30 marzo sta
però scatenando contrapposti integralismi del tutto fuorvianti.
Demagogia e toni esasperati di una parte di coloro che scendono in piazza “contro”
l’Ilva sono speculari alle manifestazioni dei quadri aziendali direttamente ispirate
dall’azienda: entrambe le posizioni di fatto potrebbero paradossalmente determinare
il medesimo effetto, ovvero il mancato investimento di risorse da parte dell’Ilva
per il risanamento ambientale dei propri impianti .
La questione sociale e la questione ambientale sono invece tra loro strettamente
interconnesse e non possono essere affrontate in maniera disgiunta
. Un
abbattimento dell’inquinamento di origine industriale e lo sviluppo di forme di
economia ecosostenibile nel nostro territorio possono imporsi solo con il raccordo tra
fabbrica e territorio: Legambiente è da tempo impegnata a favorire questo raccordo.
Da soli non si va da nessuna parte.
Senza dubbio il ricatto occupazionale e - non va sottovalutato – il paventato
cambiamento dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori possono condizionarne
pesantemente l’azione, sottomettendoli alla volontà aziendale e determinando
maggiori livelli di sfruttamento sia dei lavoratori stessi che degli impianti (il che,
inevitabilmente, produrrebbe più inquinamento e maggior rischio di infortuni).
Con la riapertura dell’AIA e per effetto dell’operato della magistratura è però
possibile imporre all’ILVA, se si sarà uniti, prescrizioni molto più severe di
quelle contenute nel provvedimento emanato pochi mesi fa dalla filo-aziendale
ministro Prestigiacomo
.
Noi pensiamo che le osservazioni all’AIA redatte da Legambiente possano essere
la base per un’unità d’azione
tra ambientalisti e lavoratori che vogliono cambiare la
fabbrica, abbatterne i livelli di inquinamento e di insalubrità ed allo stesso tempo
ripensare il modello di sviluppo preesistente
.
Un percorso, quest’ultimo, tutto da costruire, senza inseguire improbabili
paradisi e tenendo conto di una cornice fatta sia di gravi danni all’ambiente e alla
salute, sia di profonda crisi economica (120 mila disoccupati nella sola provincia
jonica).