“Il tavolo romano è stato, come si prevedeva, interlocutorio. Positivo è che le problematiche
ambientali locali siano state elevate a questione nazionale, ma il rischio è che dopo i riflettori ci si
incunei in percorsi dai risultati modesti e di facciata”.
Questo il commento di Legambiente dopo la riunione dello scorso 17 aprile a Roma.
“E’ già accaduto nel passato con gli atti di intesa 2002/2005:” – continua la nota di Legambiente –
“il tavolo parallelo sullo sviluppo insediato a Roma si perse strada facendo. Mentre all’Ilva veniva
concesso - tra le proteste di Legambiente e una città silente - di incrementare produzione ed
inquinamento”.
La partita fondamentale, in realtà, si gioca soprattutto sulla riapertura dell’AIA
. E’ in questa
procedura che si decidono le modalità di gestione ambientale dell’Ilva. Legambiente si è già
attivata ed attrezzata nel merito. Ha inoltrato al Ministero dell’Ambiente richiesta di
partecipazione e consegnato una relazione descrittiva dei 26 punti che ritiene irrinunciabili
(pur se non esaustivi) per la nuova AIA.
L’associazione aveva peraltro già formulato osservazioni sui diversi pareri espressi, a partire dal
2009, dalla commissione IPPC, intervenendo anche sugli aspetti tecnici del processo produttivo
dell’Ilva. Tali osservazioni sono state però scarsamente considerate da una commissione IPPC e da
un ministero dell’ambiente (all’epoca Stefania Prestigiacomo) appiattiti sulle posizioni dell’Ilva.
“L’obiettivo, con la riapertura dell’AIA, è sempre lo stesso” afferma Legambiente: “l’adozione
delle tecnologie e delle prescrizioni più severe per poter drasticamente abbattere gli attuali
livelli di inquinamento”. Legambiente, dopo i 26 punti, si predispone a redigere nuove
osservazioni aggiornando quelle già presentate alla luce dei nuovi Bref (Migliori tecnologie)
approvati in sede europea.
La riapertura dell’AIA per l’ILVA non è però sufficiente secondo l’associazione: occorre applicare
l’accordo di programma sottoscritto l’11 aprile 2008 e riconsiderare tutte le AIA sinora concesse in
rapporto alle criticità ambientali globali e tra loro interdipendenti del territorio.
Infine, occorre chiarezza sulle bonifiche.
Allo stato attuale non esiste alcuno studio o ricerca che quantifichi costi e personale necessario
per risanare il territorio e indichi tipologie e modalità degli interventi necessari.
Non solo; per quanto riguarda l’Ilva, la conferenza dei servizi sul SIN è ancora in corso e, dopo
dieci anni di lavori, è ancora lungi dal concludersi. ll piano di caratterizzazione dell’Ilva non è stato
ancora approvato definitivamente e di conseguenza neanche l’analisi di rischio e, men che meno, il
progetto di bonifica.
I provvedimenti di messa in sicurezza
- sbandierati in questi giorni - imposti all’azienda da
Ministero dell’Ambiente e conferenza dei servizi del SIN fin dal 2006, sono stati impugnati
dall’Ilva ben cinque volte sino ad essere definitivamente affossati dal TAR con sentenza del 23
febbraio 2012.
Più che la propaganda dunque, oggi occorre affrontare di petto questa situazione
.
Obiettivo prioritario è la stipula di uno specifico accordo di programma
come già avvenuto per
altre aree contaminate (il 16 aprile scorso ne è stato firmato uno sul SIN di Marghera - che ha una
superficie persino maggiore di quello di Taranto - in cui, tra investimenti pubblici e privati,
verranno mobilitati circa 5 miliardi di euro) e la chiusura al più presto di tutte le conferenze dei
servizi sul SIN ancora in corso.
Ma non basta. Se non si apporranno le dovute correzioni di ordine amministrativo, tecnico –
progettuale e, se necessario, normativo, i provvedimenti assunti da conferenze dei servizi e
Ministero dell’Ambiente continueranno ad essere bloccati dai vari TAR a Taranto come nel resto del
Paese. E questa è ormai una vera emergenza che, se non affrontata, rischia di rendere “aria
fritta” qualsiasi ragionamento sulle bonifiche in Italia.
Lunetta Franco (Presidente Legambiente - Circolo di Taranto)
Leo Corvace (Direttivo Legambiente Taranto)
20 aprile 2012